Per la rubrica Le Muse ecco un mia ricerca sul movimento post punk e dance nella "MaDchester" di fine secolo e in particolare sulla figura del giornalista/manager/producer che mise questa città sul piedistallo della musica mondiale per un lustro almeno. Buona lettura ai lettori di NOaut da Ludo.
La storia inizia qui, nel 1973, a Manchester, una delle città più grigie e industriali di tutto il Regno Unito e se pensate al periodo storico in cui si ambienta questa storia, bene, forse di fumo ce n’era ancora di più. Troppi strascichi e ricordi, troppo contrasto di colore tra i ventosi anni 60 e gli inevitabili 70, che avrebbero dovuto obbligatoriamente reggere il confronto col precedente decennio. I 500.000 Mancunians come tante piccole formiche erano tornati al lavoro nelle industrie tessili affacciate sull’Irwell e nessuno, tra i giovani che popolavano gli scalchignati pubs, avrebbe immaginato che il lento e inesorabile riflusso generazionale si sarebbe di li a poco trasformato in una nuova età dell’oro. La fiamma dei Pink Floyd ormai s’era spenta, per non parlare di quella dei Beatles e la gente era stanca d’essere costretta a imparare a memoria dogmi teorici musicali per poter apprezzare il concerto di uno dei troppi gruppi pretenziosi che si affacciavano sulla scena musicale.
In reazione a questa decadenza iniziò a formarsi un sottobosco di piccole realtà musicali, arrabbiate e con tanta voglia di sfondare che essendo troppo deboli per resistere da sole vennero tenute insieme da un progetto. Un progetto che ricalcava l’esperienza affascinante e artisticamente stimolante della Factory di Andy Warhol. A Manchester, in seguito al primo concerto dei Sex Pistols, 43 presenti, non paganti, un uomo, Tony Wilson, giornalista e reporter, che aveva attivamente partecipato all’organizzazione della serata considerandola come evento “storico”, rileva un vecchio locale e comincia a radunare tutte queste band talentuose sotto lo stesso tetto. Il venerdì sera al Russell Club diventa subito un must nella nuova Manchester mondana, la serata prende ovviamente il nome di “The Factory” e la home band del club è rappresentata da musicisti veramente lanciati, i Joy Division. Eh si perché dietro a un gran fenomeno musicale c’è spesso dietro un ancor più grande talento nel gestirlo e reclamizzarlo. L’ispirato genio di Wilson riuscì a convogliare sotto un marchio unico, quello della Factory Records di Manchester, concerti live, band giovani, giovani registi e video artisti e qualche piccolo sponsor. Un giorno del 1978 Tony, deciso a dare un’entità concreta a questa svolta epocale entrò nel locale di giorno e per caso molti “suoi” protetti si trovavano proprio lì a dare due colpi di stecca; in quel momento colse l’occasione per far loro una proposta: “ragazzi io sono il vostro manager, la vostra casa, vi gestisco, vi procuro gigs e vi faccio pubblicità ma non voglio avere nessun tipo di legame legale con voi, non voglio contratti né clausole, insomma mi potete mandare affanculo quando volete. Sono pronto a scriverlo col mio stesso sangue se necessario”. E, sfidato, lo fece. Lo fece eccome. Con questo gesto dimostrò tutta l’originalità del suo personaggio che era nato per essere la star dietro le quinte, desiderava più che la salute, la ricchezza, le donne, le droghe e la musica stessa, di scuotere l’ambiente e far divertire la gente. Nacque così la Factory Records che dunque non ci mise molto a prendere il nome del nucleo operativo, etichetta indipendente che avrebbe dato voce allo spirito di una nuova grande era musicale.
Ma chi era Anthony Howard Wilson? Come capitava da quelle parti proprio quando la storia della musica di Manchester stava cambiando?
Vide il mondo per la prima volta il 20 Febbraio del 1950 a Salford e iniziò fin da bambino a coltivare una grande passione per il teatro trasmessagli dalla primary school che frequentava, la De La Salle Grammar School di Salford. Tuttavia entrò nel mondo del lavoro molto presto, all’età di 17 anni, come insegnante, pensate, di inglese e recitazione alla Blue Coat School di Oldham. Un prodigio che un ragazzino inizi così presto a fare da tutore a dei bambini, ma questa predisposizioni alla teatralità, anche negli atteggiamenti e nel modus vivendi fu sempre un grande marchio distintivo dell’eclettico Tony che oltre a essere un abile ed innovativo manager discografico fu anche un attore vero e proprio, calcando perennemente il suo personale Set. Si laureò in lingua inglese nel 1971 al Jesus College di Cambridge, uno dei più prestigiosi della città universitaria inglese. La sua carriera lavorativa cominciò all’inizio degli anni settanta a Londra come apprendista giornalista per la ITN (International Television News) ma nel 1973 il figliol prodigo tornò nella natìa Manchester per rimanerci...e per iniziare in pianta stabile a lavorare per la GranadaTv, emittente privata che tra le altre aveva in palinsesto molti programmi atti a promuovere l’ambiente underground musicale e artistico della città . Uno di questi era “So it Goes” presentato dal nostro uomo. So it Goes oltre a essere un proto format del genere Mtv (lancio di video musicali e spezzoni di concerti live con classifiche annesse) era perfettamente funzionale ai suoi scopi in quanto egli poteva reclamizzare i suoi gruppi e invitare direttamente la gente alla Factory, quando nacque, celebre la frase “...e se volete divertirvi sapete che il sound giusto lo trovate ogni Venerdì alla Factory night del Russell Club”. Il suo amore per l’entertainment fu confermato dal fatto che nonostante il suo immenso successo nel campo musicale Tony Wilson non smise mai di cavalcare la sua carriera da giornalista, tanto è vero che tra gli anni settanta e gli ottanta divenne l’anchorman più importante dell’emittente. In realtà la carriera parallela di reporter non la abbandonò mai.
Dunque Wilson si decise ad intraprendere un percorso assolutamente non ordinario, di totale fiducia nei confronti dell’artista, ma ancor più che di fiducia di scambio, un’equo scambio al 50% in cui “tu mi fai vedere che sai fare e io ti ripago di quello che sai fare”. Il punto interessante è che il nostro manager fece tutto da solo, senza consultarsi con nessuno pur non avendo grande esperienza nel campo discografico, e lo fece nella più totale confidenza nei suoi mezzi. Era molto self confident, così tanto che il presentatore Tv Richard Medeley ne diede una breve descrizione così: “ A lui non interessava davvero niente di ciò che dicessero di lui gli utenti o i suoi colleghi perché credeva totalmente in sé, e questa era la cosa più affascinante di lui”. Ma questa spocchia lui non la negò mai, ostentandola in certi casi per farsi vedere più forte e deciso ed è per questo che fu sempre stimato da tutti, per la sua spontaneità e serietà, mista a una brillantezza fuori dal comune che di riflesso rese i gruppi da lui plasmati, indimenticabili. Quando fondando la Factory Records nel 1978 lui non mise in piedi soltanto un vero e proprio rifugio per bands ma costruì “un’opera d’arte concettuale” sotto mentite spoglie.
to be continued...
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