Ero
seduto sull'erba, con le gambe distese, e cercavo di riprendere
fiato. Era estate e faceva caldo, un caldo umido che non lasciava
scampo ma quando sei piccolo non pensi che il caldo ti possa fermare,
non ti fai così tante domande, e di sicuro non in quel momento.
Eravamo tutti buttati attorno alla panchina, guardavo il viso rosso e accaldato dei miei compagni vestiti di bianco. Alcuni scioglievano i muscoli,
perchè l'allenatore ci diceva di non stare mai fermi, e quando ci
mettevamo a terra dovevamo muovere le gambe per tenere i muscoli
caldi, facendo ballare i polpacci, solo quelli più bravi lo
facevano, gli altri si annoiavano. Il mister forse non sapeva che
c'erano quaranta gradi, il mister forse non sapeva che noi i muscoli
ancora non ce li avevamo.
Intorno al campo l'erba veniva bagnata e
alcuni si erano buttati sotto il getto, ma il mister aveva detto che
era una cosa seria quella, eravamo arrivati alla finale del pulcino
d'oro, insomma il pulcino d'oro, non poteva essere che una cosa
seria. E quindi io ero serio, ma solo perchè il mister lo voleva. La
partita era finita uno a uno, anche dopo i tempi supplementari, il
pareggio l'avevo segnato io, me lo ricordo perché avevo segnato di
testa da calcio d'angolo, me lo ricordo perché io non segno mai di
testa. Il portiere era grasso e sproporzionato, come solo i bambini
possono esserlo. Il mister ci aveva detto chi li avrebbe tirati,
aveva fatto una lista, e a me sembrava una cosa importantissima,
perchè quando sei piccolo l'allenatore non ti dice mai niente,
mentre quel pezzo di carta rendeva tutto più formale, da grandi. Il
mister ci aveva dato le ultime indicazioni e poi se ne era andato
perchè non reggeva la tensione, ma di questo io non mi ero accorto,
l'ho scoperto solo anni dopo, quando mio nonno mi aveva raccontato
che era andato lui a riprenderlo per le orecchie dicendogli che i
bambini, cioè noi, avevamo bisogno di lui.
Adesso
siamo tutti nel cerchio di centrocampo, i miei compagni sembrano
consapevoli della responsabilità, io non me ne rendo conto, forse la
mia superficialità viene scambiata per tranquillità, sarò io a
tirare il quinto. Gli avversari cominciano, noi rispondiamo colpo su
colpo, i miei compagni calciano e tornano esultando, ci abbracciamo
ogni volta come se fosse una vittoria. Anche l'ultimo nemico segna e
allora tocca a me, mi avvicino con i miei passi piccoli all'area di
rigore, prendo la palla con le mani, e l'arbitro mi guarda. Lezione
uno: ci hanno insegnato a sistemare la palla sul dischetto anche se
la troviamo già pronta, per prendere tempo e concentrarci meglio.
Così anche io tocco la palla con le mani ponendola leggermente più
avanti del dischetto che è tutto solcato dai calci precedenti. In
tutto quel tempo visto che calcio di destro ho deciso di aprire il rigore, cioè tirarlo alla
mia destra, la sinistra del portiere, dove tutti dicono che è più
difficile, ma a me sembra più facile. Lezione due: una volta presa
la decisione, non si può più cambiarla, è definitiva, perchè se
la cambi, ti distrai e sbagli. Io ho deciso, sono sicuro non cambio
idea. La mia rincorsa non è ne troppo lunga ne troppo corta, è
giusta. Sono partito, non ho deciso se alto o basso, cazzo. Alto.
E'
stato quel giorno che ho imparato a non calciare i rigori.
Poco prima di imparare a non calciare i rigori |
Nessun commento:
Posta un commento