Pur non essendo un divoratore di libri né quindi un lettore accanito, ho sempre provato grande curiosità e interesse per i libri degli scrittori russi.
Mi ricordo che sentii questo racconto di Gogol raccontato da Camilleri, all'interno di un'intervista che gli fece Fabio Volo per la sua trasmissione ItaloSpagnolo che andava su Mtv, e che a me piaceva un botto.
Ad ogni modo rimasi colpito da questo racconto, sia per l'intreccio, fantastico, della trama, sia forse per la capacità narrativa di Camilleri; fatto sta che oggi l'ho trovato finalmente, in un'illuminazione di quelle che si hanno solo la Domenica mattina.
Io vi consiglio di leggerlo, d'altronde se l'ho postato su NoAut, è chiaro che vorrei che lo leggeste, No?!
Buona lettura quindi, e buona Domenica
Il 25 marzo a Pietroburgo accadde un avvenimento molto strano. Il barbiere Ivàn Jakovlèviè, abitante sulla Prospettiva Voznesènskij (il suo cognome è andato perduto e nient'altro risulta dalla sua insegna, dov'è raffigurato un signore con una guancia insaponata e c'è la scritta: «Si cava anche sangue»), il barbiere Ivàn Jakovlèviè dunque si svegliò abbastanza presto e sentì odore di panini caldi. Sollevandosi un poco sul letto, vide che sua moglie, una signora abbastanza rispettabile cui piaceva molto bere caffè, sfornava dei panini appena cotti.
«Oggi, Praskòvija Osìpovna, io non prendo il caffè,» disse Ivàn Jakovlèviè, «vorrei invece mangiare del pane caldo con la cipolla.»
(Ossia, Ivàn Jakovlèviè, avrebbe voluto l'uno e l'altro, ma sapeva che era assolutamente impossibile esigere due cose alle volta, perchè Praskòvija Osìpovna non amava per nulla simili capricci.)
«Che questo scemo mangi pure il pane; per me è meglio,» pensò fra sè la consorte, «così resterà una porzione in più di caffè.»
E gettò un panino sul tavolo.
Per decenza Ivàn Jakovlèviè si mise il frac sopra la camicia e, sedutosi a tavola, prese del sale, preparò due teste di cipolla, impugnò il coltello e, assunta un'espressione ispirata, si accinse a tagliare il pane. Tagliato il pane a metà, gettò un'occhiata nel mezzo e, con suo stupore, vide qualcosa che biancheggiava. Ivàn Jakovlèviè la sfrugacchiò cautamente con il coltello e la tastò con un dito:
«Solido?» disse fra sè, «cosa può essere?»
Ficcò dentro le dita e tirò fuori un naso... Ivàn Jakovlèvic si senti cascare le braccia; cominciò a soffregarsi gli occhi e poi tastò di nuovo: un naso, proprio un naso! e per giunta, a quel che sembrava, anche in un certo senso conosciuto. Lo spavento si dipinse sulla faccia di Ivàn Jakovlèviè. Ma questo spavento era niente in confronto all'indignazione che s'impadronì di sua moglie.