Quando lo chiamarono, gli dissero che avrebbe dovuto abbattere gli alberi della strada per il cimitero, quella che aveva lo stesso nome di un patriota morto molto giovane. Lui era Alberto. Ricevette la telefonata che stava colorando un album con il figlio, e non affatto aveva idea che fare il suo mestiere voleva dire anche abbattere alberi. Per un po' di tempo non aveva dato nessuna risposta, aveva semplicemente mantenuto il telefono fermo tra la spalla e l'orecchio, mentre nella stanza si sentiva solo il chiasso del pennarello verde che scricchiolava sulla carta stampata. Poi, quando Michele aveva girato la testa grossa verso suo papà, smettendo di colorare e insieme cacciandosi il pennarellone in bocca, quando la voce al telefono stava per ripetere qualcosa, allora Alberto si era ripreso e aveva messo in fila qualche sì frettoloso che avrebbe tagliato a metà quegli alberi. Vide gli alberi sul quaderno del figlio perdere sangue dal loro tronco marrone scuro, a terra, mozzati di netto come teste di re, con le foglie ancora verdi che chiedevano alla cieca: chi è stato?
Alberto non capiva come
mai quelle cose le dicevano sempre a lui, perché dovessero chiamare
sempre lui, che non aveva nessuna responsabilità e non era capace di
ricordarsi nulla. Poi Mauro lo sgridava sempre; dopo giorni veniva a
sapere di questo o quell'incarico, che si, gliel'avevamo già
comunicato al suo collega, ah sì, scusi, probabilmente ci sarà
stata dell'incomprensione tra di noi, non si preoccupi, ce ne
occuperemo al più presto.
Ad Alberto piacevano gli
alberi, anche se lo aveva capito solo dopo quella telefonata. Fino ad
allora tra loro c'era stata solo una silenziosa convivenza, che era
iniziata alle medie, quando aveva cominciato ad andare da solo alla
scuola lontana da casa, lontana dai suoi campi e dai suoi filari di
pioppi. La mattina si svegliava prestissimo, prima ancora che il sole
fosse riuscito a levarsi sopra l'orizzonte per dare a tutti il
buongiorno. Saliva sulla bicicletta e pedalava attraverso i campi
sotto il cielo immenso, che stava lì sospeso cercando di scrollarsi
le ultime stelle di groppa; poi la volta si restringeva, l'aria si
faceva più pesante e fredda e pedalando nel bosco gli sembrava quasi
di timonare la prua di una rompighiaccio russa contro un velo denso e
ghiacciato. Lì non vedeva quasi mai il sole d'estate, o tanto meno
in inverno, quando la neve rendeva tutto più morbido e sonnacchioso,
sospeso e paziente. Gli alberi tutti diversi erano la sua strada.
Anche ora spesso, la
notte, prima di addormentarsi, avvolto dal primo tepore delle coperte
di piumino, mentre abbraccia stretta la moglie nascondendo il mento
nell'incavo liscio della sua spalla, pensa a tutti quegli alberi e
quella strada infinita che percorreva per arrivare a scuola. Adesso
pensa solo che non vorrebbe abbattere quegli alberi.
Lunedì, dopo che era
venuto a sapere del lavoro, Mauro lo sgridò ancora, ma questa volta
più del solito. Erano all'aperto, sul marciapiede affianco alla
fermata dell'autobus, e Alberto conremplava immobile il muretto
dipinto dall'altra parte della strada; in verità fissava
semplicemente un punto oltre Mauro, un punto magico che riusciva ad
essere assai vicino alle sue braccia svolazzanti, ma che lo portava
lontanissimo da lì. Mauro gli era sempre stato piuttosto simpatico.
Era pelato, e scherzava sempre mentre raccoglievano le cartacce dei
parchi, oppure quando gli toccava raccogliere la spazzatura per
strada. Per questo gli dispiaceva che ogni volta si arrabbiasse e se
la prendesse con lui; ma davvero non capiva cosa lo facesse andare
così in bestia.
Più tardi nella giornata,
quando arrivarono alla via che aveva lo stesso nome di un patriota
morto molto giovane, nel furgone c'era già tutto, le motoseghe, le
roncole, erano anche arrivati gli altri con carri e pick-up per
trasportare tutta la legna da lì, dove intralciava le macchine
soltanto, alle fabbriche, dove gli alberi morti e spezzati sarebbero
diventati i banchi della scuola dove suo figlio faceva la seconda
elementare, e i fogli sopra i quali disegnava alberi alti e verdi
protetti, in alto, da una sottile striscia colorata di blu.
Oramai erano già lì, ed
erano pronti ad iniziare, perciò rapidamente Alberto si avvicinò al
primo albero e lo toccò, perché voleva sentire di che materiale
fosse fatto e voleva rassicurarlo. Prima o poi sarebbe ricresciuto,
gli alberi son duri a morire.
Poi prese la motosega in
mano. Quando la fece partire, il rumore assordante gli diede fastidio
alle orecchie, così fece una brutta smorfia. Ma avrebbe lo stesso
iniziato a tagliare, malsopportando tutto quel chiasso, se Mauro non
gli si fosse avvicinato agitando le braccia sopra testa.
“Che c'è?” Chiese
cercando di spegnere il motore
“mettiti queste scemo”
gli disse porgendogli delle cuffie.
Quando le indossò e
riaccese la motosega pensò che erano perfette, e che avrebbe
continuato anche tutto il resto del pomeriggio. Pensò che era molto
riconoscente a mauro, e si disse che anche se lo sgridava, alla fine
gli voleva un gran bene.
Nessun commento:
Posta un commento