Sono
passati undici anni. Quando è successo ero piccolo ed ero al mare
con i miei nonni, a Loano, in liguria a pochi chilometri da Genova.
Ricordo che tornavamo a casa dal mare e ascoltavamo il telegiornale
che raccontava quello che stava succedendo. Capivo che era molto
grave perché mio nonnno urlava davanti alla televisione, e perché
non condividevo nulla di quello che diceva. Anni dopo, undici anni
dopo, stavo studiando legge quando ho letto che erano state
condannate definitivamente cinque persone. Queste persone adesso sono diverse quanto lo sono io da allora, seduto a tavola con un nonno
che urlava contro i manifestanti. Sono persone, non dobbiamo dimenticarlo: Francesco Puglisi,
operaio, 14 anni di reclusione, Marina Cugnaschi, assistente sociale,
11 anni e 6 mesi, Alberto Funaro, infermiere, 10 anni, Ines Maresca,
educatrice 6 anni e 6 mesi.
Una
giustizia non può dirsi giusta se opera con questi tempi. Non può
dirsi certa una pena che perde ogni valore retributivo nei confronti
delle vittime di allora. Ma la pena, come ci dice la nostra
costituzione, (art 27.3 cost.) deve avere anche un valore rieducativo
e anche questo aspetto viene tradito, in quanto non c'è alcuna
pericolosità sociale in queste persone. La condanna deriva
dall'applicazione del reato di “devastazione e saccheggio” una
norma che fa sentire il peso dei suoi anni, e si addice meglio al
perido fascista che ha promulgato il codice Rocco. Si addice di più
ad una guerra, che una situzione, quella del G8 che per quanto
eccezionale non sembra essere coerente con il tenore letterale della
norma. Questo reato per aiutarci a capire è stato contestato solo quattro volte dalla sua emanazione. Infine la pena non può non tener conto dell'effettiva
dimensione dei reati commessi, del tempo trascorso. Invece sembra prescindere da tutto questo per applicare ai condannati, cosa
assai rara in giurisprudenza, il massimo della cornice edittale
prevista. Si ha l'impressione che questa sia una codanna esemplare,
che siano stati scelti dei capri espiatori tra le centinaia di persone che si
resero protagoniste delle violenze a Genova in quei giorni. Una
punizione che sembra accanirsi più aspramente su cinque persone per
l'incapacità di punire i tanti che non si è riusciti a prendere.
Cinque capri espiatori come in “Orizzonti di gloria” di Kubric,
dove l'alto comando per mascherare il colossale falimento
dell'operazione scarica la colpa sulla codardia dei soldati. Cinque
capi espiatori, scelti per punire una responsabilità politica che
qualcuno continua ad ignorare.
La sentenza
per di più arriva a pochi giorni da un'altra sentenza con cui si può confrontare, quella per prescrizione ai poliziotti che si sono
resi responsabili di lesioni gravi contro i manifestanti. Una formula
che è resa possibile solo dal fatto che l'ordinamento italiano non prevede il reato di tortura che avrebbe impedito la prescrizione.
Da una
parte rappresentanti delle forze dell'ordine che hanno torturato
esseri umani senza scontare nemmeno un giorno di carcere, dall'altra
10 anni di carcere per chi ha rotto vetrine e sottratto generi
alimentari. Una giustizia consapevole dovrebbe saper distinguere tra
una pietra tirata, un allarme procurato e un corpo, una coscienza
ferita. Penso che troppo spesso chi applica le pene sta dalla parte
di chi queste le impone.
E' passato tanto tempo ma non è servito a fare chiarezza, è passato tanto tempo ma non sempre il tempo aiuta. Abbiamo
perso tutti.
complimenti
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