E'
strano pensarti lì, è sempre difficile pensare alle cose distanti.
Facciamo già troppa fatica con quelle che tocchiamo, figurarci
quelle che non capiamo. Quelle che non capiamo, rimangono un
sottofondo, tra i nostri discorsi, tra i tavoli delle nostre cene. E
quello che non dobbiamo fare è abituarci, quello che non dobbiamo
fare è perdere la voglia di capire. Sento spesso dire che adesso che
la guerra è vicina, non possiamo sfuggire all'indifferenza, adesso
che abbiamo le immagini, e la possibilità di commentarle, non
possiamo sfuggire alla crudeltà. In realtà non è cambiato niente,
non serve avere vicino una cosa per capirne l'importanza. Non serve
sentire una richiesta d'aiuto per correre a salvare chi ha bisogno.
Non c'è salvezza in quello che scriviamo e soprattutto non c'è
speranza in quello che leggiamo. Lasciamo che sia il tempo a riparare
ciò che non siamo in grado di capire, come facciamo con l'amore e
tante altre cose ugualmente concrete. Non c'è aiuto che possiamo
dare, cifra che possiamo sentire che ci possa muovere, ma non per
questo ogni cosa è inutile. Non serve leggersi la storia di tutti i
conflitti, non serve conoscere le ragioni economiche, le alleanze
politiche, la storia culturale di due paesi indifesi da loro stessi.
Non può essere questo però a impedirci di fermare le cose,
soprattutto quando non si vede la fine perché non si riesce a
stabilire un inizio, quello che non abbiamo saputo fare non può
essere una scusa per quello che non possiamo fare ora. E Adesso che
tutto sembra insufficiente, ripartiamo da ciò che soltanto alla fine
sembra superfluo, sperando così che questo inizio possa essere anche
una fine. E proprio adesso, proprio questo momento che è il più
delicato, solo tante persone possono far crollare questo muro di
incomprensione.
lunedì 21 luglio 2014
venerdì 20 giugno 2014
A te che non sai dare i nomi alle cose
Questi
sono sassi,
questi
limoni, questa acqua fredda.
Questi
sono segni sulle piante,
queste
sono le mie mani
più
grandi delle tue belle.
Quelli
che leggi sono silenzi, quello che non dici sono parole.
Poi
c'è il muschio e l'imbarazzo,
questi
siamo noi,
che
camminiamo a piedi nudi nella terra
queste
sono risate e
quello
è il sole.
C'è
il vento ma quello lo senti, non hai bisogno di chiamarlo,
le
nuvole sono
lontane servono per nasconderci.
Questo
è egoismo, quello è ritardo.
Tra
i miei piedi c'è la schiuma e tutta la voglia di non starmene
seduto.
Il
profumo della terra lo conosci già,
l'ho
visto nei tuoi occhi
poi
è strisciato dietro i sassi.
Questo
è muschio e qui c'è il tuo corpo sano,
questa
è la notte, non penso tu la conosca.
Ricordati
di non dormire,
ti
perderesti i raggi di luna e le tempeste,
ti
perderesti nei pensieri,
come
lo sono sempre stato io.
-Aspetta,
questo è un bacio, lo riconosco
-e
vorrei dartene altri cento,
ma
questi ritagli, non saprei dove metterli.
mercoledì 30 aprile 2014
Lisbona, Istambul.
Sono
solo salite e discese.
il
vento che spezza le due città,
porte
d'ingresso e uscita di questa storia,
la
porta sbatte, corrente che ci porta via,
noi
rimaniamo qui,
senza
uscire.
Noi
che siamo stati
neve
sciolta, dal fumo dei camini, sui tetti
gingjina
sulle labbra,
che
ti bacio e mi porti via.
martedì 8 aprile 2014
La luna di Saint Jean
La
neve prese a cadere sempre più fitta sul parabrezza della Bmw. I
tergicristallo si fecero più rumorosi -Vai più piano, che non si
vede niente. - la voce di Monica ruppe un silenzio che durava da
molto tempo. Massimo non disse niente, si limitò a stringere il
volante con maggior forza -E' incredibile, stamattina c'era il sole,
sono pure uscita sul terrazzo a prendere il sole... Incredibile come
cambi in fretta il tempo in montagna- stette ad aspettare una
risposta, ma Massimo sembrava essere caduto in trace. -Massimo mi
hai sentito? Sei sveglio?-
-Sì
sono sveglio, stavo solo pensando.
-A
cosa pensavi?
-Niente
-Dai
su
-Niente
pensavo ai Landolfi, alla cena, Francesca cucina proprio bene.
-Certo
non fa nient'altro, anch'io se avessi tutto quel tempo.
-Ma
no non dicevo quello- Massimo si rese conto di camminare su un
terreno scivoloso, per questo cercò di rimanere in silenzio.
-Ehi
Massimo guarda, fermati!
Avevano
appena superato una sagoma scura con una grossa tanica in mano che
camminava cercando di stare ai margini della carreggiata, vicino ai
grossi muri di neve.
Venne
illuminato dalle luci bianche della retromarcia, portò d'istinto un
braccio in alto per coprirsi il volto infastidito da quella luce.
Massimo
aprì il finestrino della moglie e venne avvolto da un freddo
sottile.
-C'è
qualche problema? disse Massimo senza staccare gli occhi dal ragazzo
-Mah,
ho finito la benzina
-Non
ti preoccupare, dove devi andare?- si intromise Monica con fare
materno
-Stavo
cercando di raggiungere il distributore di Saint Jean...
-Ma
è lontanissimo, dove abiti?- lo interruppe Monica
-Veramente
io, abito sopra la Trinité – rispose titubante il ragazzo
-Ti
accompagniamo noi, non ti preoccupare
-Veramente-
Provò a dire il ragazzo
-Non
vedi come nevica?, starai gelando- Poi si fermò un attimo a
guardarlo, -Hai solo quel giacchino...-
-Sì
mah io...
-Dai
salta su, non ci dai per niente fastidio, non dobbiamo nemmeno
allungare troppo- anche Massimo provò a intervenire per convincerlo.
-Ma
veramente, ho la macchina...
-Stasera
vai a casa dormi e poi ci pensi domani alla macchina.
Il
rumore del motore sembrava l'unico nel raggio di chilometri. Il
ragazzo restò immobile ancora un momento, poi mise la mano sulla
maniglia posteriore e la porta si aprì con un clak -Grazie. - disse.
Le
gomme scivolarono sull'asfalto bagnato e la macchina si mise in moto.
Dentro l'abitacolo, Massimo alzò il riscaldamento e si ricreò
subito un piacevole tepore. I due coniugi sembravano elettrizzati,
Monica cominciò a tempestarlo di domande; l'imbarazzo del ragazzo
non venne percepito, i due si comportavano come se fosse loro figlio.
-Quanti
anni hai?
-Venticinque-
disse cercando di scandire bene le lettere
-Sembri
molto più giovane, sarà per quell'accenno di barba.
Alberto
non risposte subito e cercò di pensare se fosse necessaria una
risposta a quell'affermazione.
La
sua attesa venne incalzata da altre domande su cosa ci faceva lì a
quell'ora tarda, mentre le curve si facevano più strette e la strada
più in salita. La macchina saliva sull'asfalto appena impolverato di
bianco senza fare fatica, -sono le gomme da neve, che tengono
benissimo- disse Massimo. I fari della macchina illuminavano il
guard-rail ed erano l'unica luce bluastra di tutta la valle.
-Anche
tu a passi qui le feste?
-Veramente
no, qui io ci lavoro
-E
che lavoro fai?
-La
guida alpina
-Non
è possibile sei troppo giovane...-
-Si
sono la più giovane guida alpina d'Italia.- disse con una punta di
orgoglio.
Questa
volta furono i coniugi Demartini a stare in silenzio.
-E
cosa faresti di preciso?
-Beh
cerco di accompagnare la gente che vuole andare in montagna.
-Deve
essere pericoloso, anche i Landolfi l'anno scorso hanno usato la
guida per andare in val Ferré.
Ad
Alberto si allargò un sorriso ma nessuno ci badò perché rimase
nell'oscurità.
-E
quindi non hai fatto l'università... disse con una punta di
preoccupazione Monica
-Eh
no, ho mollato, non ero molto motivato- il tono rimase piatto, quasi
inespressivo, era una risposta che aveva dato molte volte.
-Che
peccato- poi si accorse di essere stata inopportuna e tentò di
riparare -be alla fine se è quello che ti piace...
-Sì,
penso di sì.-
Non
parlarono più fino a quando Alberto non diede le ultime indicazioni
e li fece accostare dove finiva la strada. Si salutarono in maniera
impacciata, Alberto ringraziò e sentì il rumore della macchina
venir inghiottito dalla valle.
I
fiocchi sul parabrezza erano quasi scomparsi e i Demartini erano
felici di aver aiutato quel ragazzo. Nessuno dei due lo disse
esplicitamente ma erano sicuri di averlo tirato fuori da un bel
pasticcio.
-Certo
che coraggio deve avere
-Eh
si per mollare tutto così e trasferirsi in un posto sperduto come
questo...
-No,
io dicevo per aver mantenuto la calma in una situazione come questa,
alla fine non abbiamo incontrato nessuno che scendeva o saliva,
sarebbe rimasto a congelare tutta la notte.
-Per
fortuna che ci ha incontrato.
-Davvero.
Alberto
aspettò ancora prima cominciare la salita che l'avrebbe portato a
casa, tirò fuori il tabacco e si accese una sigaretta. Intanto aveva
smesso di nevicare, il cielo si era rasserenato, dalle nuvole spuntò
la luna bianca e tonda. Era una notte luminosa adesso. Respirò
l'aria umida tra un tiro e l'altro di sigaretta, pensò che domani
sarebbe dovuto scendere a recuperare la macchina. Gettò la sigaretta
che si bagnò nella neve, alzò lo sguardo verso la luna, pensò a
tanti anni prima quando per natale aveva regalato alla sua ragazza
una foto di quella stessa luna. Si chiese se fosse ancora appesa al
muro sopra al suo cuscino o fosse stata dimenticata da qualche parte,
dimenticata come adesso lo era lui. Lasciò le sue impronte sulla
polvere appena caduta. Non importava, domani ci sarebbe stato bel
tempo.
Ad M. e D.
Un
ragazzo che porta sempre una luce frontale.
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