venerdì 24 giugno 2011

Un'altra storia

- Ah cristo santo! -
Come sempre il sangue è più lento dei pensieri. Una cosa senza giustizia né senso, esattamente come quel fottuto sasso nascosto tra le foglie su cui sono appena caduto aprendomi il ginocchio in due parti asimmetriche come la mia faccia disarmonica senza una volontà razionale, mia madre deve avermi fatto senza troppo amore, non lo saprò mai e dicendola tutta non mi interessa granchè. Fa freddo adesso e non so cosa cazzo mi sia venuto in mente di prendere questo sentiero e lasciare gli altri io e le miei manie di grandezza. Chiamatemi Friedrich. Quando stanotte morirò assiderato vorrei che fosse questo il nome sulla lapide non di certo Giampaolo. È un nome da perdenti ma questa è un'altra storia.

Oggi ho accompagnato la mia donna a conoscere i suoi veri genitori. Salta fuori che sono due poveri cristi che abitano in uno sperduto paesino in cima ad una montagna sconosciuta all’uomo ma decisamente ben in mente a quel vecchio rincoglionito e manipolatore che il genere umano si ostina a chiamare dio, e lo dico perché da qui il paesaggio è davvero mozzafiato. Non ho mai capito cosa spinga una persona a ricercare le proprie origini, non so nemmeno perché uno decida di mollare il proprio figlio in una cesta da pic nic come una forma di formaggio stagionato, a dirla tutta non mi capacito di come qualcuno possa seriamente e coscienziosamente decidere di metterlo al mondo un figlio. Io per me nemmeno per le palle che lo metto al mondo un pargolo. Mai e poi mai. Seriamente. Ma questa è un’altra storia.
Mi guardo il ginocchio mi siedo. Il taglio è profondo visto dall’alto e attraverso i jeans lacerati sembra davvero brutto. Una fica sfondata che spruzza sangue. Mi sento male voglio vomitare ma resta tutto dentro come sempre. Si deposita, marcisce.
- Dove cazzo sono finito? - Chiudo gli occhi e prendo a respirare piano sempre più piano, concentrati cazzo no panico. Niente non sento niente che mi possa rassicurare no passi no voci. Dove cazzo sono finito!
Riapro gli occhi. Si sta facendo buio. Ho freddo e il sangue scivola lento fino alle caviglie per poi sprofondare nel cotone delle mie calze. Questa puzza la conosco bene, l’ultima volta che la sentii ero poco più che bambino, mi ero arrampicato sopra una scogliera parecchio alta per dimostrare agli altri della compagnia quanto fossi coraggioso ma appena conquistata la cima, guardando in basso mi prese il panico, il terrore. La puzza della paura. Rimasi bloccato per ore . Non riuscivo a buttarmi, la superficie dell’acqua mi sembrava talmente distante. Intorno tutti cominciarono a sogghignare, – Gian, ci si vede domani eh? Stessa ora, stesso posto – mi dicevano, ragazzini ben più piccoli di me si buttavano con una disinvoltura che non mi apparteneva e a poco a poco se ne andarono tutti. Rimasi solo con i miei muscoli esausti, guardavo l’acqua che si era fatta più spaventosa e il sole, un uovo in padella che slittava sempre più velocemente appoggiandosi all’orizzonte, come adesso. Forse sono ancora su quella scogliera. La mia vita è un videoclip in stop motion. Ma questa è un’altra storia.
Cerco di rialzarmi, sotto il mio peso le foglie friggono spezzandosi in cric croc crac, ho freddo voglio tornare alla mia macchina, voglio abbracciare Serena e tornare a casa. Faccio tre passi e mi accascio di nuovo, non riesco ad appoggiare la gamba, il ginocchio mi fa un male insopportabile.
Mi guardo attorno, trovare un legno adatto per sorreggermi e camminare anche tutta la notte, se necessario, mi sembra l’unica idea, devo uscire da qui. Il terreno è umido e il freddo ormai mi sta braccando muscoli e ossa. Mi trascino facendo leva con la gamba buona e salgo di una decina di metri, sono un bruco e striscio. Questo bosco è meraviglioso, alberi svuotati dalla vecchiaia si sono spezzati appoggiandosi gli uni agli altri, chiavi di volta ovunque, pilastri e archi schizzati qua e là sotto un peso indicibile. Mi aggrappo ad un ramo facendo ciondolare tutto il mio peso per qualche secondo e il risultato è che in men che non si dica mi trovo col culo a terra e il ramo, marcio, in mano.
Sono stanco, terribilmente stanco. Ormai è il buio. Rumori di bosco tutt’intorno. Sono un fungo spugnoso, impregnato di questo freddo. Il collo si fa sempre più corto dentro la giacca. Ho la sensazione di poter perdere il naso da un momento all’altro. Mi immagino la scena, io che guardo perplesso il mio naso biancastro saltellare giù per il bosco. Sogghigno. Basta pensare a queste cazzate, devo scrivere qualcosa, un messaggio d’addio, un testamento. Forse una frase d’amore? Il testamento andrà benissimo. - Ecco si - prendo un pezzetto di legno e scrivo per terra così quando e se mi troveranno leggeranno, come nei thriller, quando la vittima prima di morire riesce a scrivere frasi apparentemente senza senso con il proprio sangue. Mi hanno sempre fatto ridere queste scene. Voglio dire se io vedessi in faccia l’assassino e lo riconoscessi e se avessi tempo di scrivere qualcosa col mio sangue scriverei il nome di chi mi ha appena inflitto quaranta pugnalate, una cosa semplice semplice: Mario Rossi. In questi film invece i moribondi hanno ancora voglia di giocare, incredibile, si prodigano con stelle di David, simboli massonici e cazzate varie. Comunque questa è un’altra storia.
Ho freddo. Pensandoci bene non ho voglia di scrivere. Forse dovrei dormire, solo un poco. Dormo.

                                                                                                                                                   Hix Volte



Questo racconto è stato rubato da NOAUt ad un'amica Hix Volte. Se vi piace faremo di tutto per convincerla a collaborare, altrimenti le diremo di non montarsi troppo la testa. Credo che un saluto debba andare anche a Paolo Conte, ma anche questa è un'altra storia.










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