martedì 23 ottobre 2012

Gli alberi di Alberto


Quando lo chiamarono, gli dissero che avrebbe dovuto abbattere gli alberi della strada per il cimitero, quella che aveva lo stesso nome di un patriota morto molto giovane. Lui era Alberto. Ricevette la telefonata che stava colorando un album con il figlio, e non affatto aveva idea che fare il suo mestiere voleva dire anche abbattere alberi. Per un po' di tempo non aveva dato nessuna risposta, aveva semplicemente mantenuto il telefono fermo tra la spalla e l'orecchio, mentre nella stanza si sentiva solo il chiasso del pennarello verde che scricchiolava sulla carta stampata. Poi, quando Michele aveva girato la testa grossa verso suo papà, smettendo di colorare e insieme cacciandosi il pennarellone in bocca, quando la voce al telefono stava per ripetere qualcosa, allora Alberto si era ripreso e aveva messo in fila qualche sì frettoloso che avrebbe tagliato a metà quegli alberi. Vide gli alberi sul quaderno del figlio perdere sangue dal loro tronco marrone scuro, a terra, mozzati di netto come teste di re, con le foglie ancora verdi che chiedevano alla cieca: chi è stato?
Alberto non capiva come mai quelle cose le dicevano sempre a lui, perché dovessero chiamare sempre lui, che non aveva nessuna responsabilità e non era capace di ricordarsi nulla. Poi Mauro lo sgridava sempre; dopo giorni veniva a sapere di questo o quell'incarico, che si, gliel'avevamo già comunicato al suo collega, ah sì, scusi, probabilmente ci sarà stata dell'incomprensione tra di noi, non si preoccupi, ce ne occuperemo al più presto.
Ad Alberto piacevano gli alberi, anche se lo aveva capito solo dopo quella telefonata. Fino ad allora tra loro c'era stata solo una silenziosa convivenza, che era iniziata alle medie, quando aveva cominciato ad andare da solo alla scuola lontana da casa, lontana dai suoi campi e dai suoi filari di pioppi. La mattina si svegliava prestissimo, prima ancora che il sole fosse riuscito a levarsi sopra l'orizzonte per dare a tutti il buongiorno. Saliva sulla bicicletta e pedalava attraverso i campi sotto il cielo immenso, che stava lì sospeso cercando di scrollarsi le ultime stelle di groppa; poi la volta si restringeva, l'aria si faceva più pesante e fredda e pedalando nel bosco gli sembrava quasi di timonare la prua di una rompighiaccio russa contro un velo denso e ghiacciato. Lì non vedeva quasi mai il sole d'estate, o tanto meno in inverno, quando la neve rendeva tutto più morbido e sonnacchioso, sospeso e paziente. Gli alberi tutti diversi erano la sua strada.
Anche ora spesso, la notte, prima di addormentarsi, avvolto dal primo tepore delle coperte di piumino, mentre abbraccia stretta la moglie nascondendo il mento nell'incavo liscio della sua spalla, pensa a tutti quegli alberi e quella strada infinita che percorreva per arrivare a scuola. Adesso pensa solo che non vorrebbe abbattere quegli alberi.
Lunedì, dopo che era venuto a sapere del lavoro, Mauro lo sgridò ancora, ma questa volta più del solito. Erano all'aperto, sul marciapiede affianco alla fermata dell'autobus, e Alberto conremplava immobile il muretto dipinto dall'altra parte della strada; in verità fissava semplicemente un punto oltre Mauro, un punto magico che riusciva ad essere assai vicino alle sue braccia svolazzanti, ma che lo portava lontanissimo da lì. Mauro gli era sempre stato piuttosto simpatico. Era pelato, e scherzava sempre mentre raccoglievano le cartacce dei parchi, oppure quando gli toccava raccogliere la spazzatura per strada. Per questo gli dispiaceva che ogni volta si arrabbiasse e se la prendesse con lui; ma davvero non capiva cosa lo facesse andare così in bestia.
Più tardi nella giornata, quando arrivarono alla via che aveva lo stesso nome di un patriota morto molto giovane, nel furgone c'era già tutto, le motoseghe, le roncole, erano anche arrivati gli altri con carri e pick-up per trasportare tutta la legna da lì, dove intralciava le macchine soltanto, alle fabbriche, dove gli alberi morti e spezzati sarebbero diventati i banchi della scuola dove suo figlio faceva la seconda elementare, e i fogli sopra i quali disegnava alberi alti e verdi protetti, in alto, da una sottile striscia colorata di blu.
Oramai erano già lì, ed erano pronti ad iniziare, perciò rapidamente Alberto si avvicinò al primo albero e lo toccò, perché voleva sentire di che materiale fosse fatto e voleva rassicurarlo. Prima o poi sarebbe ricresciuto, gli alberi son duri a morire.
Poi prese la motosega in mano. Quando la fece partire, il rumore assordante gli diede fastidio alle orecchie, così fece una brutta smorfia. Ma avrebbe lo stesso iniziato a tagliare, malsopportando tutto quel chiasso, se Mauro non gli si fosse avvicinato agitando le braccia sopra testa.
“Che c'è?” Chiese cercando di spegnere il motore
“mettiti queste scemo” gli disse porgendogli delle cuffie.
Quando le indossò e riaccese la motosega pensò che erano perfette, e che avrebbe continuato anche tutto il resto del pomeriggio. Pensò che era molto riconoscente a mauro, e si disse che anche se lo sgridava, alla fine gli voleva un gran bene. 

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