lunedì 21 luglio 2014

Infine ci fu un'altra guerra, e fummo costretti ad amarci per non morire.




E' strano pensarti lì, è sempre difficile pensare alle cose distanti. Facciamo già troppa fatica con quelle che tocchiamo, figurarci quelle che non capiamo. Quelle che non capiamo, rimangono un sottofondo, tra i nostri discorsi, tra i tavoli delle nostre cene. E quello che non dobbiamo fare è abituarci, quello che non dobbiamo fare è perdere la voglia di capire. Sento spesso dire che adesso che la guerra è vicina, non possiamo sfuggire all'indifferenza, adesso che abbiamo le immagini, e la possibilità di commentarle, non possiamo sfuggire alla crudeltà. In realtà non è cambiato niente, non serve avere vicino una cosa per capirne l'importanza. Non serve sentire una richiesta d'aiuto per correre a salvare chi ha bisogno. Non c'è salvezza in quello che scriviamo e soprattutto non c'è speranza in quello che leggiamo. Lasciamo che sia il tempo a riparare ciò che non siamo in grado di capire, come facciamo con l'amore e tante altre cose ugualmente concrete. Non c'è aiuto che possiamo dare, cifra che possiamo sentire che ci possa muovere, ma non per questo ogni cosa è inutile. Non serve leggersi la storia di tutti i conflitti, non serve conoscere le ragioni economiche, le alleanze politiche, la storia culturale di due paesi indifesi da loro stessi. Non può essere questo però a impedirci di fermare le cose, soprattutto quando non si vede la fine perché non si riesce a stabilire un inizio, quello che non abbiamo saputo fare non può essere una scusa per quello che non possiamo fare ora. E Adesso che tutto sembra insufficiente, ripartiamo da ciò che soltanto alla fine sembra superfluo, sperando così che questo inizio possa essere anche una fine. E proprio adesso, proprio questo momento che è il più delicato, solo tante persone possono far crollare questo muro di incomprensione. 

venerdì 20 giugno 2014

A te che non sai dare i nomi alle cose


Questi sono sassi,
questi limoni, questa acqua fredda.
Questi sono segni sulle piante,
queste sono le mie mani
più grandi delle tue belle.
Quelli che leggi sono silenzi, quello che non dici sono parole.
Poi c'è il muschio e l'imbarazzo,
questi siamo noi,
che camminiamo a piedi nudi nella terra
queste sono risate e
quello è il sole.
C'è il vento ma quello lo senti, non hai bisogno di chiamarlo,
le nuvole sono lontane servono per nasconderci.
Questo è egoismo, quello è ritardo.
Tra i miei piedi c'è la schiuma e tutta la voglia di non starmene seduto.
Il profumo della terra lo conosci già,
l'ho visto nei tuoi occhi
poi è strisciato dietro i sassi.
Questo è muschio e qui c'è il tuo corpo sano,
questa è la notte, non penso tu la conosca.
Ricordati di non dormire,
ti perderesti i raggi di luna e le tempeste,
ti perderesti nei pensieri,
come lo sono sempre stato io.

-Aspetta, questo è un bacio, lo riconosco
-e vorrei dartene altri cento,
ma questi ritagli, non saprei dove metterli.

mercoledì 30 aprile 2014

Lisbona, Istambul.



Sono solo salite e discese.
il vento che spezza le due città,
porte d'ingresso e uscita di questa storia,
la porta sbatte, corrente che ci porta via,
noi rimaniamo qui,
senza uscire.
Noi che siamo stati
neve sciolta, dal fumo dei camini, sui tetti
gingjina sulle labbra,
che ti bacio e mi porti via.

martedì 8 aprile 2014

La luna di Saint Jean

La neve prese a cadere sempre più fitta sul parabrezza della Bmw. I tergicristallo si fecero più rumorosi -Vai più piano, che non si vede niente. - la voce di Monica ruppe un silenzio che durava da molto tempo. Massimo non disse niente, si limitò a stringere il volante con maggior forza -E' incredibile, stamattina c'era il sole, sono pure uscita sul terrazzo a prendere il sole... Incredibile come cambi in fretta il tempo in montagna- stette ad aspettare una risposta, ma Massimo sembrava essere caduto in trace. -Massimo mi hai sentito? Sei sveglio?-
-Sì sono sveglio, stavo solo pensando.
-A cosa pensavi?
-Niente
-Dai su
-Niente pensavo ai Landolfi, alla cena, Francesca cucina proprio bene.
-Certo non fa nient'altro, anch'io se avessi tutto quel tempo.
-Ma no non dicevo quello- Massimo si rese conto di camminare su un terreno scivoloso, per questo cercò di rimanere in silenzio.
-Ehi Massimo guarda, fermati!
Avevano appena superato una sagoma scura con una grossa tanica in mano che camminava cercando di stare ai margini della carreggiata, vicino ai grossi muri di neve.
Venne illuminato dalle luci bianche della retromarcia, portò d'istinto un braccio in alto per coprirsi il volto infastidito da quella luce.
Massimo aprì il finestrino della moglie e venne avvolto da un freddo sottile.
-C'è qualche problema? disse Massimo senza staccare gli occhi dal ragazzo
-Mah, ho finito la benzina
-Non ti preoccupare, dove devi andare?- si intromise Monica con fare materno
-Stavo cercando di raggiungere il distributore di Saint Jean...
-Ma è lontanissimo, dove abiti?- lo interruppe Monica
-Veramente io, abito sopra la Trinité – rispose titubante il ragazzo
-Ti accompagniamo noi, non ti preoccupare
-Veramente- Provò a dire il ragazzo
-Non vedi come nevica?, starai gelando- Poi si fermò un attimo a guardarlo, -Hai solo quel giacchino...-
-Sì mah io...
-Dai salta su, non ci dai per niente fastidio, non dobbiamo nemmeno allungare troppo- anche Massimo provò a intervenire per convincerlo.
-Ma veramente, ho la macchina...
-Stasera vai a casa dormi e poi ci pensi domani alla macchina.
Il rumore del motore sembrava l'unico nel raggio di chilometri. Il ragazzo restò immobile ancora un momento, poi mise la mano sulla maniglia posteriore e la porta si aprì con un clak -Grazie. - disse.
Le gomme scivolarono sull'asfalto bagnato e la macchina si mise in moto. Dentro l'abitacolo, Massimo alzò il riscaldamento e si ricreò subito un piacevole tepore. I due coniugi sembravano elettrizzati, Monica cominciò a tempestarlo di domande; l'imbarazzo del ragazzo non venne percepito, i due si comportavano come se fosse loro figlio.
-Quanti anni hai?
-Venticinque- disse cercando di scandire bene le lettere
-Sembri molto più giovane, sarà per quell'accenno di barba.
Alberto non risposte subito e cercò di pensare se fosse necessaria una risposta a quell'affermazione.
La sua attesa venne incalzata da altre domande su cosa ci faceva lì a quell'ora tarda, mentre le curve si facevano più strette e la strada più in salita. La macchina saliva sull'asfalto appena impolverato di bianco senza fare fatica, -sono le gomme da neve, che tengono benissimo- disse Massimo. I fari della macchina illuminavano il guard-rail ed erano l'unica luce bluastra di tutta la valle.
-Anche tu a passi qui le feste?
-Veramente no, qui io ci lavoro
-E che lavoro fai?
-La guida alpina
-Non è possibile sei troppo giovane...-
-Si sono la più giovane guida alpina d'Italia.- disse con una punta di orgoglio.
Questa volta furono i coniugi Demartini a stare in silenzio.
-E cosa faresti di preciso?
-Beh cerco di accompagnare la gente che vuole andare in montagna.
-Deve essere pericoloso, anche i Landolfi l'anno scorso hanno usato la guida per andare in val Ferré.
Ad Alberto si allargò un sorriso ma nessuno ci badò perché rimase nell'oscurità.
-E quindi non hai fatto l'università... disse con una punta di preoccupazione Monica
-Eh no, ho mollato, non ero molto motivato- il tono rimase piatto, quasi inespressivo, era una risposta che aveva dato molte volte.
-Che peccato- poi si accorse di essere stata inopportuna e tentò di riparare -be alla fine se è quello che ti piace...
-Sì, penso di sì.-

Non parlarono più fino a quando Alberto non diede le ultime indicazioni e li fece accostare dove finiva la strada. Si salutarono in maniera impacciata, Alberto ringraziò e sentì il rumore della macchina venir inghiottito dalla valle.
I fiocchi sul parabrezza erano quasi scomparsi e i Demartini erano felici di aver aiutato quel ragazzo. Nessuno dei due lo disse esplicitamente ma erano sicuri di averlo tirato fuori da un bel pasticcio.

-Certo che coraggio deve avere
-Eh si per mollare tutto così e trasferirsi in un posto sperduto come questo...
-No, io dicevo per aver mantenuto la calma in una situazione come questa, alla fine non abbiamo incontrato nessuno che scendeva o saliva, sarebbe rimasto a congelare tutta la notte.
-Per fortuna che ci ha incontrato.
-Davvero.

Alberto aspettò ancora prima cominciare la salita che l'avrebbe portato a casa, tirò fuori il tabacco e si accese una sigaretta. Intanto aveva smesso di nevicare, il cielo si era rasserenato, dalle nuvole spuntò la luna bianca e tonda. Era una notte luminosa adesso. Respirò l'aria umida tra un tiro e l'altro di sigaretta, pensò che domani sarebbe dovuto scendere a recuperare la macchina. Gettò la sigaretta che si bagnò nella neve, alzò lo sguardo verso la luna, pensò a tanti anni prima quando per natale aveva regalato alla sua ragazza una foto di quella stessa luna. Si chiese se fosse ancora appesa al muro sopra al suo cuscino o fosse stata dimenticata da qualche parte, dimenticata come adesso lo era lui. Lasciò le sue impronte sulla polvere appena caduta. Non importava, domani ci sarebbe stato bel tempo.

Ad M. e D.
Un ragazzo che porta sempre una luce frontale.